Aletheia: frammenti di pensiero suscitati da una parola.
di Mario Bencivenni
Nella società protesica dei nostri tempi, cioè una società in cui l’uomo affida la sua esistenza sempre più alla tecnologia e alle “protesi” tecnologiche, le parole come le cose hanno perso il loro significato, oserei dire la loro anima. Le parole che da secoli sono lo strumento con cui si materializza il pensiero umano e che permettono agli uomini di comunicare fra loro, ormai sembrano essere relegate ad un ruolo di brusio e di rumore di fondo che accompagna una comunicazione sempre più iconica o per immagini. Le parole da formidabili strumenti di comunicazione costituiscono una sorta di nebulosa fatta di “bla-bla”, i greci antichi direbbero di “bar-bar”, capace di avvolgere qualsiasi concetto e il suo opposto. Eppure fino ad un passato recente le parole, prodotto del pensiero sviluppato da popoli per lunghi secoli, se non millenni, della loro esistenza, costituivano la vita ricca e pulsante di quel mare sulle cui rive, anche opposte, quei popoli erano nati ed avevano continuato a vivere. Riprendendo una efficace immagine del filosofo spagnolo Lledò, oggi è come se questo mare si fosse ghiacciato in superficie, diventando una grande lastra ghiacciata, come il Cocito del cerchio finale dell’Inferno dantesco, sulla quale noi uomini scivoliamo, pattiniamo, ignorando che sotto questa lastra di ghiaccio pulsa ancora una vita alimentata e arricchita da millenni di storia. Ritornare alle parole, al loro significato, alla loro etimologia, è oggi operazione necessaria per rompere questa lastra di ghiaccio e ritornare in contatto con quella vita che è nata e si è sviluppata in un mare che ha unito i popoli che pur distanti e lontani si affacciavano, e si affacciano , sullo stesso mare.
Moltissime delle nostre parole relative alla filosofia, alla poesia, all’arte, alla scienza, insomma al pensiero in generale sono di origine greca: poesia, politica, filosofia…. Questo perché nell’antichità i Greci furono i primi a dar vita alla filosofia. E sembrerà strano, ma furono i primi a sviluppare il pensiero astratto e a porsi quesiti sui mille aspetti della vita umana innanzi tutto perché erano fortemente ancorati alla realtà concreta, cioè un popolo pratico anzi praticissimo. Poi anche e soprattutto perché, a differenza delle altre civiltà sviluppatesi attorno al Mediterraneo, si organizzarono in poleis, cioè in città stato dove i membri della comunità erano cittadini liberi votati ad interessarsi ed occuparsi del bene comune cioè della politica. Questo ha prodotto un fatto straordinario: e non solo il sovrano con la sua casta ristretta dei sacerdoti o degli scriba aveva la possibilità di pensare e dare risposte ai problemi della vita umana, ma che anche una moltitudine di cittadini esercitava il pensiero e si sentiva stimolata a porsi domande e a tentare di dare risposte nel confronto con tutti i membri della polis. Il pensiero greco sviluppato soprattutto fra il IV e III secolo, grazie alla koinè culturale ellenistica divenne poi patrimonio e fondamento per la letteratura, la poesia, il sapere scientifico delle civiltà sviluppatesi attorno al Mediterraneo e in primis di quella romano latina.
Ritornare a capire queste parole nel loro significato originario e nella loro evoluzione è oggi un passaggio obbligato per ridare significato alle parole e ritornare a scoprire, e quindi utilizzare , la complessità di concetti, di pensiero, che attraverso di loro ci arriva dalle generazioni che ci hanno preceduto.
In questo travaso di parole da un popolo ad un altro, da una civiltà ad un’altra, non sempre le parole si sono mantenute, anzi spesso si sono sostituite con altre più adatte a segnare, connotare nuove acquisizioni o ambiti nuovi di pensiero e di riflessione teorica.
Esemplare a questo proposito è il caso di una parola particolarmente importante nella nostra vita: felicità. Il termine deriva direttamente da lingua latina, felicitas , che non esiste nel greco antico dove la parola che più gli si avvicina è eudaimonia.
Aletheia appartiene proprio a questo secondo gruppo di parole. Essa infatti è collegabile per campo semantico alla parola italiana ” verità” che deriva invece dal latino, da veritas.
Cerchiamo allora di capire cosa sia successo con questo termini. Se per un attimo riprendiamo il Vocabolario greco-italiano compilato da Lorenzo Rocci nel 1943 per la Società Editrice Dante Alighieri, e che ha accompagnato e accompagna tante generazioni di studenti dei nostri licei, al lemma αλήϑεια troviamo associati questi termini italiani: “verità”; “realtà” ( contrario di “apparenza”); “sincerità”; “veracità”; “lealtà” ( contrario di “menzogna”).
Da ciò risulta particolarmente evidente che con la stessa parola i greci definivano due concetti particolarmente importanti: verità e realtà. Inoltre il termine greco è formato nella parte tematica col verbo lanthano che significa “coprire, velare” e con l’alfa privativo che determina appunto il significato di “ciò che non è coperto, non è velato”. Questo sistema di definizione di una parola avviene nel mondo greco per accentuare non tanto l’oggetto definito come entità esistente e facilmente riconoscibile in modo immediato per la sua stessa evidenza, quanto invece l’azione, il processo, che lo rende tale, cioè il “dis-coprimento”, il “dis-velamento”. Cioè i greci con questo termine fissano un concetto molto importante che focalizza l’interesse dall’oggetto riconosciuto al soggetto riconoscente.
Nella lingua latina e grazie ad autori come Cicerone, il termine aletheia viene tradotto con veritas, termine che ha origine in area balcanica e slava, e ha un suo significato originario di “fede”. Inoltre nella civiltà latino-romana la parola veritas ha un forte campo semantico di ambito giuridico: è la verità della legge, che è tale per la sua evidenza giuridica. Insomma che questa verità derivi dalla certezza/ autorevolezza della legge oppure come avviene in epoca cristiana dalla fede nel vero Dio e dalla teologia, la veritas è un dato di fatto, una realtà evidente. Questo distacco dal significato originario della parola greca aletheia si è perpetrato nello sviluppo della metafisica che ha caratterizzato il pensiero filosofico occidentale da Platone e da Aristotele a Nietzsche, e grazie ad Heidegger si è ritornati a riflettere e recuperare il concetto originario di aletheia/verità come “disvelamento”, “disvelatezza”. Richiamando un’affermazione di Eraclito secondo il quale «la natura delle cose ama celarsi» . Allora si tratta di una realtà che da celata, coperta velata deve essere dis-velata, dis-coperta.
Ed è evidente lo spostamento di interesse dall’oggetto esistente come velato e nascosto al soggetto che dis-vela, dis-copre. Questa direzione a mio avviso ci riporta inevitabilmente anche verso quei territori della mistica dove si arriva a vedere con gli occhi chiusi e a parlare a bocca chiusa, dove la essenza e la verità sono collocate al di là del velo del sipario.
Se dunque a differenza del mondo romano dove il concetto di veritas si lega al significato di autorità e porta al terreno del Diritto e della Giustizia e diviene prerogativa di Giudici, il concetto greco di aletheia implica il significato di autorevolezza, riporta alla tradizione, alle verità che stanno oltre il tempo, che il tempo ha velato o nascosto, e che possono arrivare all’uomo come dono divino. I poeti con il loro canto sono lo strumento per esprimere questa aletheia.
E il poeta opera attraverso l’entusiasmo e con impeto divino che estende in modo infinito la sua capacità umana di comprensione e memoria. Non è un caso che Dante nell’accingersi a descrivere le tre visioni di ira punita che gli appaiono nel passaggio dal velo della cortina di fumo della terza cornice alla quarta del Purgatorio ci spieghi questo straordinario evento di verità percepita, immaginata e raccontata definendo il suo strumento, l’alta fantasia , come luogo dove piovono immagini.
Ma ripensando a questo legame fra aletheia, verità, realta, non ho potuto non ritornare a quello straordinario aneddoto raccontato da Plino sulla gara di pittura fra Zeusi e Parrasio: «Si racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi; mentre questi presentò dell’uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro, quello espose una tenda dipinta con tanto verismo che Zeusi, pieno di orgoglio per il giudizio degli uccelli, chiese che, tolta la tenda, finalmente fosse mostrato il quadro; dopo essersi accorto dell’errore, gli concesse la vittoria con nobile modestia: se egli aveva ingannato gli uccelli, Parrasio aveva ingannato lui stesso, un pittore».
Insomma anche all’inizio delle vicende di un’arte incentrata sul principio della mimesis della natura e della verità naturale si registra non solo un filone altrettanto realistico, che noi abbiamo definito del trompe l’oeil, ma anche un’idea dell’arte che evoca qualcosa di nascosto che sta oltre il velo il sipario, che rimanda non all’oggetto visibile , ma all’oggetto pensato.
Nel fare arte dunque accanto ad una prospettiva nuova ed estremamente contemporanea , quella concettuale che sposta l’attenzione dall’oggetto creato all’atto del pensare l’oggetto, rimane ancora aperta anche quella di un realismo che non è pura riproposizione “veritiera” della verità naturale, ma disvelamento di un qualcos’altro che sta oltre la finitezza del rappresentato, ma che utilizza l’oggetto rappresentato come medium per andare oltre il velo, oltre il sipario.
Che la parola Aletheia sia stata scelta da Claudia Leporatti per denominare questa mostra di opere di scultura è dunque un atto di grande coraggio, ma anche un invito particolarmente allettante a guardare le sue opere da una prospettiva che andando oltre il rumore di fondo costituito dai “bla.bla.” della nostra vita quotidiana, ci faccia rompere per un attimo la lastra gelata del mare che abbiamo trasformato in un nuovo Cocito, e ritornare così a godere la bellezza e la complessità di quel brulicare di vita che oltre il tempo continua a riprodursi nelle sue profondità.
Valeria Pardini
Il tempo, Kronos, amato quanto mai temuto dagli uomini di ogni epoca.
Il tempo è da sempre anche la sfida più ardua per ogni artista. Bloccare il suo scorrere, fissare in un gesto o in uno sguardo ciò che abitualmente è destinato a fluire, è l’ossimoro dell’arte.
Il tempo. La prima parola che viene alla mente osservando, anzi riflettendo nella distanza del ricordo,sulle opere di Claudia Leporatti è il tempo.
Un attimo immacolato protetto nella materia, un movimento assicurato all’eternità.
Il tempo che per capriccio o per destino, si è fermato di tanto in tanto fra le pagine della storia divenendo Kairos, il momento propizio, capace di sospendere il suo scorrere per svelare un attimo di bellezza, di verità, d’assoluto.
La scultura è un linguaggio potente in grado di confrontarsi con lo spazio e la luce, di misurarsi con le dimensioni e di intimidire il tempo.
Il discorso poetico dell’artista Leporatti pone al centro la figura umana. Ritratti di sentimenti ed emozioni in un alternarsi di volume e silenzio, materia e malinconia. I suoi corpi in terracotta, sembrano come apparsi dal nulla, immobili ma allo stesso tempo leggeri ed eleganti; lo sguardo fisso e fiero, esseri autonomi e perfettamente coscienti della loro condizione e della loro nudità, incuranti degli sguardi, delle lusinghe o delle minacce esterne. Soli, fieri, emancipati non interagiscono con l’osservatore ma ne distinguono e rispettano le emozioni, anche se non si lasciano coinvolgere poiché fortemente immersi nei propri pensieri.
Claudia Leporatti unisce, il rigore classico delle forme con un’interpretazione personale e suggestiva sulla condizione dell’uomo di oggi.
L’artista non si limita a rivolgersi alla tradizione figurativa nella ricerca plastica ma si confronta anche lo stile artigiano della terracotta, attingendo direttamente all’arte primigenia. Le radici di riferimento dell’artista sono profonde, nascono e si nutrono da particolari terreni storici e culturali; quali la sua regione, la Toscana e i suoi studi accademici, nidi in cui è cresciuta e dove ha maturato una cifra espressiva e stilistica personale.
La scultura è il risultato finale di un lungo processo che contiene molti elementi sensibili ed insensibili, quali la ricerca esistenziale, il vissuto, l’esperienza personale, che si aggiungono agli studi, alla conoscenza tecnica dei materiali, alla lavorazione. Le opere di Claudia non fuggono da questo percorso meditativo.
Alétheia, svela una selezione di opere in un allestimento inedito, gli spazi del museo di arte sacra di San Casciano. Un dialogo inesplicabile e mai interrotto, tra antico e moderno, tra sacro e profano, dove la luce gioca con lo spazio divenendo guida agli sguardi e ai sensi.
La contrapposizione tra l’armonia delle forme dei corpi e l’opulenza delle opere raccolte nel museo favorisce il senso di attesa e sospensione temporale di queste presenze assenze.